La mezzadria (da un termine derivante dal latino tardo che indica “colui che divide a metà”) è un contratto agrario d’associazione con il quale un proprietario di terreni (chiamato concedente) e un coltivatore (mezzadro), si dividono (normalmente a metà) i prodotti e gli utili di un’azienda agricola (podere). La direzione dell’azienda spetta al concedente. Nel contratto di mezzadria, il mezzadro rappresenta anche la sua famiglia (detta famiglia colonica). La mezzadria ebbe effetti benefici nelle aree con terreni a maggiore produttività e a basso popolamento.
Podere, famiglia colonica, casa rurale e proprietà costituivano una struttura armonica e indivisibile con obblighi, diritti e doveri per le parti contraenti. A guidare la ripartizione del profitto era il principio “della metà”. In alcuni casi questo principio è andato incontro a distorsioni a vantaggio del concedente fino a dar luogo, nelle aree sovraffollate (dove i terreni non sostenevano l’aumento demografico) e a bassa produttività, a forme larvate di lavoro subalterno.
La mezzadria si diffuse a partire dal basso Medioevo in varie parti d’Europa, come rapporto produttivo inquadrato nel sistema feudale. In Italia fu particolarmente importante in Toscana.
Assicurando al proprietario del fondo una congrua rendita senza bisogno di grandi investimenti, la mezzadria costituì a lungo un freno all’introduzione di metodi imprenditoriali nell’agricoltura, con la conseguenza di una bassa produttività dei terreni. Per questo motivo, i legislatori moderni hanno ovunque cercato di abolire o quantomeno disincentivare questa forma di rapporto.
Dal punto di vista storico, tuttavia, il ricorso alla mezzadria fu proprio tipico di zone in cui fu presente uno sviluppo delle tecniche agronomiche e pertanto la mezzadria è giudicata come fase di passaggio dall’agricoltura tradizionale a quella contemporanea.
Nella Ferrara della metà del XV secolo venivano insediati mezzadri in terreni all’interno di bonifiche recenti con lo scopo di provvedere alla manutenzione, al completamento dell’opera di bonifica e quindi aumentando nel tempo il valore dei poderi ottenuti in concessione.
Il contratto di mezzadria è stato al centro di una polemica secolare tra i sostenitori, che vi hanno additato uno strumento di evoluzione imprenditoriale dei ceti contadini, e gli avversari, che vi hanno denunciato un residuo di sopraffazione medioevale che avrebbe ritardato il progresso agricolo.
Si può rilevare che il primo critico dell’istituto è stato il marchese fiorentino Cosimo Ridolfi che, nelle Lezioni orali di Agraria, che tenne, per due anni, la domenica, a Empoli, ad un pubblico di proprietari e fattori, analizzò con chiarezza esemplare i vantaggi ed i limiti del contratto, proponendone un giudizio di equilibrio tale che nessuno, forse, dei critici e dei fautori successivi, avrebbe ripetuto.
Simile al mezzadro era, nella società feudale, il “manente”: questo termine definiva un lavoratore agricolo che risiedeva in un terreno non di sua proprietà, che coltivava e di cui divideva gli utili col proprietario.